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OPERA DIDASCALICA

2021 

testo e regia Alessandro Paschitto

con Raimonda Maraviglia, Alessandro Paschitto, Francesco Roccasecca

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produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Ctrl+Alt+Canc

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foto di scena Marco Ghidelli

video Alessandro Papa

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realizzato con il sostegno di Theatron Produzioni, C.U.R.A. Centro Umbro di Residenze Artistiche, Micro Teatro Terra Marique, Corsia Of-Centro di Creazione Contemporanea

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si ringrazia Mario Autore, Giulia Sangiorgio, Chiara Cucca, l'Asilo - ex Asilo Filangieri

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Selezione
In-Box 2022

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Premio
Leo de Berardinis 2021

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Vincitore
Call from the aisle 2020

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Menzione speciale
Borsa Pancirolli 2020

Motivazione della giuria

Premio
Leo de Berardinis 

«Per la ricerca di un linguaggio scenico capace di portare allo scoperto il paradosso della rappresentazione e il suo limite intrinseco, attraverso la sottrazione di trama, personaggi, luoghi, tempo e azione, e in cui anche le parole finiscono con non alludere ad altro che a se stesse. Per aver voluto riflettere sulla difficoltà del rappresentare come sineddoche dell’incapacità di vivere»

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Corriere del Mezzogiorno

Stefano de Stefano

«Il teatro del futuro? Forse. Quello del presente, certo, che si interroga sulla sua stessa essenza (...) Una bella boccata d’ossigeno»

Motivazione della giuria

Borsa Teatrale
Anna Pancirolli

«Per la ricerca ardita (...) il coraggio di esplorare il niente, i performer indagano il presente, le relazioni, lo spazio, il vuoto. Uno studio della scena innovativo, sorprendente, convincente»

Alessandro Toppi

«Per due anni ho considerato “Opera didascalica” (...) un tentativo di riflessione giocata col gioco del teatro. (...) Ebbene, ieri sera studiavo il testo e nel rileggerlo ho avvistato qualche altra cosa, come un disegno che sta sotto il quadro, coperto dai colori ma non del tutto invisibile. Il fatto è che è emersa un’altra trama o come il racconto di una condizione altrimenti difficilmente confessabile.»

SINOSSI

Uno spazio vuoto, disallestito, nudo. Le luci di sala sono accese. Le casse spente, non c’è audio

riprodotto. Né costumi: si va in scena con gli abiti del giorno. Si resta lì, buttati, davanti agli occhi degli

spettatori. Tre figure - persone prima che attori - e il vuoto intorno, perfetta immagine del nostro

presente. L’incapacità di rappresentare si fa immagine di un’altra incapacità: quella di vivere. Il qui e

ora del teatro, privato di ogni simulazione, si impregna di significati nuovi: si fa racconto generazionale,

esistenziale. La ricerca di un’azione sensata diviene vorticosa e ha il nulla di fatto come destinazione

inevitabile. Dopotutto come possiamo rappresentare la vita se delle cose più semplici e quotidiane

scopriamo di sapere nulla o quasi? Quale potrebbe essere l’azione di cui si dica: eccola, è questa. Quali

le parole? Eppure di tentativo in tentativo, fallimento in fallimento, qualcosa sembra rimanere. Un’eco,

un sedimento che si cumula, un’impressione sempre più presente nel vuoto dello spazio. Le ripetizioni

scavano come dei solchi, divaricano parentesi ancora non riempite. Se qualcosa appare - infine - lo fa

solo in quanto proiettato da un di dentro di chi osserva. Il luogo della rappresentazione si sposta dalla

scena vuota al retro dei suoi occhi. Come quando si aspetta un ceffone e non arriva. Dov’è finito?

Dentro di noi.

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